In
realtà il «chi
è?»
non è una domanda e non è soddisfatto da un sapere. Quello cui è
posta la domanda, si
è già presentato,
senza essere un contenuto. Si è presentato come volto. Il volto non
è una modalità della quiddità una risposta ad una domanda, ma è
correlativo a ciò che precede ogni domanda. ciò che precede ogni
domanda non è, a sua volta, una domanda, né una conoscenza
posseduta a priori, ma Desiderio. Il chi
correlativo al Desiderio, il chi
cui è posta la domanda è, in metafisica, una «nozione»
fondamentale ed universale nella stessa misura in cui lo sono la
quiddità, l'essere, l'ente e le categorie.
Certo,
il chi
è per lo più un che
cosa.
Si domanda «chi è il signor X» e si risponde: «È il presidente
del Consiglio di Stato» o «È il signor Tale». La risposta si
offre come quiddità, si riferisce a un sistema di relazioni. Alla
domanda chi?
risponde la presenza non qualificata di un ente che si
presenta
senza riferirsi a niente e che, però, si distingue da ogni altro
ente. La domanda chi?
tende
ad un volto. La nozione di volto differisce da qualsiasi contenuto
rappresentato. Se la domanda chi
non domanda nello stesso senso della domanda che
cosa,
questo significa che in questo caso ciò che si domanda e chi è
interrogato coincidono. Tendere ad un volto, significa porre la
domanda chi
proprio al volto che costituisce la risposta a questa domanda. Chi
risponde e ciò che è risposto coincidono. Il volto, espressione per
eccellenza, formula la parola fondamentale: il significante che viene
alla luce al culmine del suo segno, come degli occhi che vi fissano.
Il
chi
dell'attività non è espresso nell'attività,
non è presente,
non assiste alla propria manifestazione, ma vi è semplicemente
significato da un segno in un sistema di segni, cioè come un essere
che si manifesta appunto in quanto assente dalla propria
manifestazione: una manifestazione in assenza dell'essere-un
fenomeno. Quando si comprende l'uomo a partire dalle sue opere, esso
è più sorpreso che compreso. La sua vita e il suo lavoro lo
nascondono. Simboli, essi rimandano all'interpretazione. La
fenomenicità di cui si tratta non indica semplicemente una
relatività della conoscenza; ma un modo
d'essere
in cui nulla è definitivo, in cui tutto è segno, presente che si
assenta dalla sua presenza e, in questo senso, sogno.
(…)
Soltanto
andando incontro ad Altri sono presente a me stesso. Non è che la
mia esistenza si costituisca nel pensiero degli altri. Una esistenza
cosiddetta oggettiva, quale si riflette nel pensiero degli altri, e
in base alla quale faccio parte dell'universalità, dello Stato,
della storia, della totalità, non mi esprime ma appunto mi nasconde.
Il volto che accolgo mi fa passare dal fenomeno all'essere in un
altro senso: nel discorso mi espongo all'interrogazione d'Altri e
questa urgenza della risposta-stimolo acuto del presente-mi genera
alla responsabilità; in quanto responsabile sono ricondotto alla mia
realtà ultima. Questa attenzione estrema non attualizza quello che
era in potenza, poiché essa non è concepibile senza l'Altro. Essere
attenti significa un sovrappiù di coscienza che presuppone l'appello
dell'Altro. Essere attenti significa riconoscere la signoria
dell'Altro, ricevere il suo ordine o più esattamente ricevere da lui
l'ordine di dare ordini. La mia esistenza come «cosa in sé» inizia
con la presenza in me dell'idea dell'Infinito, quando mi cerco nella
mia realtà ultima. Ma questo rapporto consiste già nel servire
Altri.
Emmanuel
Lévinas: Totalità e infinito - Jaca Book (pp. 181-184 )
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